La mindfulness è una terapia cognitiva che si basa sulla meditazione e che ha lo scopo di far acquisire una maggiore consapevolezza di sé per evitare gli automatismi dei pensieri cognitivi ed emozionali che conducono alla cristallizzazione dei pensieri e dei comportamenti (Galimberti, 2021).
Il termine mindfulness fa riferimento a uno stato psicologico di consapevolezza[1] fatto da una serie di pratiche che la promuovono e che regolano l’attenzione per generare calma, lucidità e concentrazione. Diverse discipline lavorano sulla consapevolezza, tra cui lo yoga, il tai chi.
Si distingue dalla meditazione, per quale si intende una pratica mentale che, attraverso opportuni esercizi, “porta a un oltrepassamento dell’esperienza abituale di tipo egocentrico e razionale, in vista di un assorbimento in una coscienza più vasta che consente di esperire il proprio Sé più profondo e in armonia con il tutto […]” (Galimberti, 2021, p. 745).
Ogni tipologia di meditazione si fonda sulla regolazione del respiro, sull’attenzione concentrata, sulla postura corporea che facilitano la concentrazione, la riduzione della percezione, la visualizzazione di elementi che rappresentano lo stato che si desidera raggiungere, e la ripetizione cadenzata di alcune espressioni sonore cha possano distogliere dalla parola. La pratica meditativa induce variazioni elettrofisiologiche[2] del sistema psicosomatico, induce le onde alfa del cervello e, a uno stadio avanzato, le onde teta. Durante la meditazione stessa avviene la sincronizzazione delle onde antero-posteriori e la sincronia tra gli due emisferi, il ritmo respiratorio rallenta, diminuisce il consumo di ossigeno, vi sono risposte galvaniche della pelle. Le persone trascorrono il 46,9%[3] del tempo di veglia nello stato di wandering mind, a pensare cioè a ciò che non sta accadendo loro, con il pensiero non correlato al compito che stanno svolgendo (Killingsworth & Gilbert, 2010), la situazione opposta a quella meditativa.
Giommi (2006) sostiene che il valore aggiunto della mindfulness è aver posto l’attenzione sugli automatismi “[…] indotti da ansia ed depressione, i pensieri negativi automatici, i pensieri disfunzionali, la ruminazione depressiva, le cognizioni e le compulsioni ossessive.
La mindfulness in un certo senso “agisce” in senso contrario rispetto agli effetti dell’automatismo mentale […]” (in Galimberti, 2021, p. 772). La mindfulness è stata introdotta nel mondo occidentale per la prima volta da Jon Kabat-Zinn[4] che ha elaborato il protocollo denominato MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction) che deriva da antiche pratiche buddhiste di meditazione che hanno l’obiettivo di raggiungere la “consapevolezza di quel che accade nel momento in cui accade” (Galimberti, 2021, p. 772).
Trovano una corrispondenza con la pratica indiana denominata vipassana che significa chiara visione, assimilabile al concetto di insight[5]. Si raggiunge l’attenzione consapevole attraverso l’ascolto e l’osservazione delle sensazioni fisiche, delle emozioni e dei pensieri.
Si basa sull’assunto che i pensieri vadano accettati, senza giudizio, e vadano trattati come degli eventi mentali, senza identificarci con essi e farci travolgere dai loro contenuti. La pratica si è rilevata molto efficace anche perché impatta sulla riduzione dello stress e aumenta la concentrazione e la memoria.
Il neurobiologo Daniel J. Siegel (2007) sostiene che la pratica mindfulness “[…] può migliorare non soltanto la salute del corpo, ma anche quella della mente, in particolare in termini di regolazione emotiva, flessibilità e tendenza ad affrontare eventi impegnativi anziché evitarli. Inoltre essere mindful rende più empatici e migliora le relazioni. Per quanto riguarda la salute del corpo, il miglioramento riguarda il potenziamento del sistema immunitario e un aumento dell’attività dei telomeri all’estremità dei cromosomi, rallentando così l’invecchiamento cellulare. La mindfulness aumenta anche la resilienza di fronte al dolore cronico. Quindi, la consapevolezza mindful aiuta la mente, le relazioni e la nostra vita incarnata” (in Galimberti, 2021, p. 772).
Siegel ha creato l’acronimo COAL per riassumere le condizioni necessarie alla pratica Mindfulness che dovrebbero essere intenzionalmente create, quali: Curious, Open, Accepting, Loving. Secondo l’autore, è così che si realizza uno stato di eccitazione neuronale. Durante la meditazione si attivano alcune aree della corteccia prefrontale mediale che collegano fra loro diverse regioni anche molto diverse tra di loro e che, con la pratica prolungata, si assiste a delle loro modificazioni strutturali (in Galimberti, 2021).
La mindfulness si fonda su tre assiomi: intenzione, attenzione e attitudine[6]. Si inseriscono in un processo circolare e si manifestano in maniera simultanea. La persona, durante il processo, acquisirà la consapevolezza che lo condurrà a produrre affermazioni quali “Io non sono i miei pensieri”, “Io non sono il dolore che provo” e “Io non solo la mia depressione”, riuscendo cosi ad acquisire la capacità di assumere una prospettiva meta rispetto a sé stesso.
Deikman (1982) parla di “the observing self”, il sé osservante (in Shapiro, Carlson, Astin, Freedman, 2006, p. 378). Nel momento in cui attiviamo il nostro sé che osserva, acquisiamo la consapevolezza del pensiero, dell’emozione, del contenuto e non siamo più fusi o inglobati nel contenuto stesso. E nel momento che vediamo il contenuto, non siamo più il contenuto, poiché ci percepiamo, a quel punto, come molto di più.
Significa per la persona riuscire a stare con la paura, il dolore, i pensieri, i ricordi, le convinzioni su sé stessa, senza esserne definita, controllata, condizionata. Questa profonda trasformazione nello sguardo conduce a una maggiore lucidità, chiarezza, prospettiva, obiettività, equanimità.
Quel sistema di credenze che la persona percepiva come il sé stabile, viene ora visto come qualcosa di non permanente. Avviene il passaggio trasformativo per cui l’identità si sposta dai contenuti alla consapevolezza stessa dei contenuti, quindi dal sé come contenuto al sé come contesto (Hayes et al, 1999) (in Shapiro, Carlson, Astin, Freedman, 2006, p. 379).
Il cambio di percezione non deve essere confuso con il distacco[7] dalla propria storia ed esperienza, che creerebbe apatia o indifferenza. Non significa dissociarsi o disconnettersi. Significa invece immergersi profondamente, in maniera non concettuale, per sentirne e sperimentare la ricchezza di quello che Peters (2004) definisce l”’intimo distacco” (in Shapiro, Carlson, Astin, Freedman, 2006, p. 379). Questo cambio di paradigma conduce la persona all’autoregolamentazione e autogestione. Per autoregolamentazione si intende la capacità di un sistema di mantenere la stabilità, l’equilibrio e l’adattabilità al cambiamento, in base ai cicli di feedback che si verificano.
Coltivare intenzionalmente l’attenzione non giudicante conduce alla connessione che determina l’autoregolamentazione e, in ultimo, allo stato di salute e benessere.
L’individuo diventa capace in ogni momento di cogliere maggiori informazioni, anche quelle che erano difficili da esaminare.
Diventa sempre meno automatico e necessario compiere l’evitamento, come afferma Hayes (2002) (in Shapiro, Carlson, Astin, Freedman, 2006, p. 380).
Questo passaggio[8] ci permette di smettere di identificarci con i valori che ci sono stati trasferiti da altri e di riuscire a fare chiarezza su quali siano effettivamente i nostri valori più autentici.
Saida Nicolini
[1] Davis, D.M., Hayes, J.A. (2012). What are the benefits of mindfulness?. CE Corner, APA Office of CE in Psychology, Monitor on Psychology. July/August, Vol.43, n. 7, 65-70.
[2] Galimberti, U. (2021). Nuovo Dizionario di Psicologia. Milano: Feltrinelli.
[3] Killingsworth, M.A, Gilbert, D.T. (2010). A wandering mind is an unhappy mind. Science, November 12th, Vol.330, n. 6006, 932.
[4] Ha introdotto questa pratica presso la Clinica della Riduzione dello Stress dell’università del Massachusetts vero la fine degli anni settanta. (Galimberti, 2021).
[5] Galimberti, U. (2021). Nuovo Dizionario di Psicologia. Milano: Feltrinelli.
[6] Shapiro, L.S., Carlson, L.E., Astin, J.A. Freedman, B. (2006). Mechanisms of Mindfulness. Journal of Clinical Psychology, Vol. 62(3), 373-386. Wiley Online Library.
Retrieved in https://upaya.org/uploads/pdfs/ShapiroCarlsonetalMech.pdf
[7] Shapiro, L.S., Carlson, L.E., Astin, J.A. Freedman, B. (2006). Mechanisms of Mindfulness. Journal of Clinical Psychology, Vol. 62(3), 373-386. Wiley Online Library. Retrieved from
https://upaya.org/uploads/pdfs/ShapiroCarlsonetalMech.pdf
[8] Shapiro, L.S., Carlson, L.E., Astin, J.A. Freedman, B. (2006). Mechanisms of Mindfulness. Journal of Clinical Psychology, Vol. 62(3), 373-386. Wiley Online Library. Retrieved from https://upaya.org/uploads/pdfs/ShapiroCarlsonetalMech.pdf